L’Abito dei Sette Dolori di Maria,
i devoti e i miracoli nel 1613

“L’Abito che dal sec. XIII ad oggi hanno sempre portato i Servi di Maria ha il significato – nel colore, non nella foggia – di una ‘livrea’, cioè dice qualcosa di importante non su chi lo indossa ma su chi ha concesso di portarlo. E infatti la “legenda” sopra citata dichiara che l’Abito dei Servi indica l’umiltà della Vergine Maria e significa chiaramente il dolore che Ella soffrì nella amarissima passione del Figlio suo ...
E nella ‘Legenda del beato Filippo’ (primi decenni del sec. XIV) il santo rispondendo ad una richiesta di identità così si esprime ...: Siamo chiamati Servi della Vergine gloriosa, della cui vedovanza indossiamo l’Abito ...
Dalle suddette premesse storico-culturali nasceranno nei secoli seguenti le varie espressioni di devozione: La Madonna ai piedi della Croce; la Compagnia dell’Abito; la Confraternita dei Sette Dolori approvata a Roma nel 1645; il Terz’Ordine; la Corona dell’Addolorata; le Congregazioni femminili intitolate o devote all’Addolorata etc. ...” (E. M. Casalini).

Aggiungiamo, sulla devozione all’Abito di Maria e su alcune Sue grazie nel 1613, quanto scrivono gli Annali dei Servi di Maria alla fine di un capitolo del 1614:

“È infatti opportuno qui passare in rassegna alcune cose mirabili e i benefici fatti ai fedeli religiosi, compiuti dall’Altissimo nell’anno precedente 1613 per i meriti della Beata Vergine e del suo Santo Abito dei Sette Dolori.
A Pisa in Toscana, Margherita di Giovanni Battista Ricordati, incinta di quattro mesi cadde da una finestra, da un’altezza di undici cubiti (quasi 5 metri), sulle pietre di una strada pubblica e, picchiando su un gradino di marmo, subì gravi fratture in varie parti del corpo. Ma raccomandandosi alla Madre di Dio, il cui Abito dei Sette Dolori portava religiosamente, non abortì, ma partorì felicemente al tempo opportuno e visse per diversi anni in alcun modo danneggiata.
Nella stessa città, essendo una ragazza gravemente colpita da pustole, soprattutto nel viso, la madre, consapevole che stava per essere privata della luce degli occhi e che sarebbe diventata turpemente deforme, si legò con un voto alla Vergine Madre di Dio: avrebbe indossato il suo santo Abito, se sua figlia fosse stata completamente guarita.
Alla qual cosa la Regina degli afflitti rispose benignamente, perché non solo la figlia non fu privata della luce degli occhi, ma anche non ebbe nemmeno il minimo segno di brufoli sul viso e sul corpo e questo fu constatato con meraviglia da tutti quelli che l’avevano vista malata.
Nello stesso anno a Firenze un fanciullo di otto anni, chiamato Giacomo Pietro, figlio di Giovanni Neri, fu afflitto per quattro mesi interi da uno spirito nefasto. Ma lo spirito, il 5 ottobre, quando fu spinto a confessare con gli esorcismi, disse che non sarebbe stato costretto a uscire dal suo corpo a meno che il ragazzo non avesse indossato l’Abito della Vergine Maria.
Per questo i genitori portarono il ragazzo nella cappella della Santissima Annunziata. Quando fu fatto il voto, cioè di indossare il suddetto Abito, immediatamente lo spirito infame si ritirò dal ragazzo, che poi portò quell’Abito molto religiosamente.
Né è da tralasciare come in questi giorni Giuseppe Navinio vicentino, stando per caso a Verona, fosse stato improvvisamente assalito da quattro nemici armati di spada, e si fosse sentito colpito alle spalle il giorno prima delle idi di marzo [il 14]. Ma l’Abito santo della Beata Vergine, con il quale andava vestito, lo protesse con la sua virtù, come se fosse una corazza di ferro, e così Giuseppe scappò illeso dalle mani del nemico.
In quel periodo a Genova un ragazzino di appena cinque anni, cadde in un pozzo profondo, e perché non affogasse, la Beata Vergine, patrona dell’Ordine dei Servi, secondo la testimonianza dello stesso, lo sostenne sull’acqua finché non ne uscì incolume.
In aggiunta, la signora Lelia, moglie di Giovanni Battista Doria, che fu un capo dell’esercito del duca di Savoia, incontrando grandissime difficoltà nel partorire, si legò con il voto alla Beata Vergine e alla SS. Immagine dei Dolori nella nostra chiesa di Genova, e subito partorì un maschio; e l’offerta d’argento del suddetto beneficio fu offerta al “Donarium” [il luogo di cheisa dove si trovavano le offerte votive].
A Reggio Emilia, le X calende di maggio [22 aprile], presso l’immagine famosa della Vergine Santissima esposta alla pubblica venerazione nella chiesa nostra, si fermò a sciogliere un voto Agramonte Milavo l’araldo ufficiale [il nunzio pubblico] della città di Lodi.
Infatti, dovendo il governatore e il detto Stato eleggere un uomo per l’ufficio di araldo, Agramonte sopra tutti gli altri, aspirava molto ad avere questo incarico. Ma una cosa era fortemente d’ostacolo, cioè che non aveva mai imparato né a leggere né a scrivere. Onde confidò molto nella gloriosissima Vergine, alla quale si raccomandò sopra ogni cosa, e spontaneamente si presentò agli incaricati dei Signori; e dopo aver ricevuto il libro e la penna, lesse e scrisse. Fatta una ammirevole prova, fu scelto come araldo. Udendo questo, i nostri Padri del convento, condussero Agramonte dal vescovo che, appena esposta la cosa, la confermò con giuramento; onde questo miracolo fu riportato solennemente negli atti pubblici.
Circa in questi giorni alcune monache dell’Ordine di San Francesco nel monastero di San Marco della Città di Todi [qui lo scrittore fa un’ampia parentesi] – il quale fu già frequentato dal nostro Padre Filippo del nostro Ordine, e in esso rimangono ancora i monumenti dello stesso Beato Padre, specialmente la cella in cui fu adornato di grazie da Dio e da Sua Madre e morì santissimamente, sapientemente convertita in santuario e oratorio, proprio come nella chiesa la statua del medesimo beato, e nel soffitto le affollate immagini di lui e anche della Madre di Dio, che io stesso l’8 giugno 1712 guardai con gran gioia e più volte esaminai con la massima cura [chiude la parentesi], – una delle suore, ripeto, caduta per caso nel fuoco, fu così gravemente colpita a un piede, che i nervi stessi furono scoperti, e nessuno dei rimedi applicati dal medico o dal chirurgo fu sufficiente per alleviare il dolore e curarlo, anzi, avrebbe fatto molto danno; e così i medici dichiararono e pronunciarono in modo assoluto che nessuno così gravemente ferito sarebbe potuto sopravvivere.
Per questo una sorella dell’inferma, ella stessa consacrata a Dio nel sacro coro, si affrettò subito davanti all’immagine del Beato Filippo, che qui è conservata da tempo immemorabile, è venerata con molti voti e adornata di tavolette, e pregò il Beato Padre di far ottenere la salute completa alla sua sorella.
La suora malata, che a stento viveva e per la quale non ci sarebbe stato alcun rimedio, cominciò a guarire, e si ritrovò tutta sana e integra, come se non avesse mai sofferto nulla”.

Tradotto da Paola Ircani Menichini, 9 luglio 2022.
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